Intrattenimento

Quegli Eroi che Vinsero Perdendo Tutto: La Nobiltà della Sconfitta

2024-10-02

Autore: Chiara

In un periodo di crisi e introspezione, il protagonista-narratore Kochan, dall'opera di Yukio Mishima 'Confessioni di una maschera', esprime il desiderio di una morte solitaria, lontano da occhi estranei, come un cucciolo di volpe incapace di sfuggire al cacciatore. Siamo a cavallo tra il 1948 e il 1949, e Kochan vive una lotta interiore legata alla sua omosessualità, indossando una maschera per nascondere la propria vera natura. La morte, per lui, sembra l'unico esito romantico e inevitabile della vita, un triste epilogo legato all'inesperienza e agli errori giovanili.

Ma otto anni dopo, lo scenario cambia in 'Il Padiglione d'oro', dove il monaco Mizoguchi riflette sulla sua prigionia causata dalla bellezza. Egli si sente costretto a scegliere tra l'eternità e la vita, atto che culmina nel drammatico incendio del Tempio del Padiglione d’oro, simbolo della bellezza stessa.

Nel 1971, la tragica morte di Mishima, avvenuta il 25 novembre del 1970, porta alla luce un dibattito sulla sua figura. Ivan Morris, in una risposta a Gore Vidal, sottolinea come la sua morte si allinei perfettamente con il mito degli eroi giapponesi falliti, una tradizione che risale all'epoca antica. Attraverso il suo saggio 'The Nobility of Failure', Morris esplora la storia di figure come Genji, il Principe Splendente, pioniere della nocciolina tra il successo e il fallimento.

Nei Ringraziamenti, Morris rammenta il consiglio di Mishima, avvisandolo della necessità di bilanciare la sua ammirazione per la cultura giapponese con le realtà più cupe del Paese. L’introduzione offre al lettore una comprensione delle filosofie giapponesi, mescolando significati di confucianesimo, shintoismo e buddhismo, e presentando il concetto di 'mono no aware', la fragilità delle cose, una forma di bellezza che abbraccia il dolore e la gioia della vita.

Personaggi storici, come il principe Yamato Takeru, che affronta la malattia come punizione per aver disonorato una divinità, e Yorozu, il primo suicida in battaglia, si ergono come figure emblematiche di una cultura che rivaluta il fallimento come nobiltà. La storia continua con Sugawara no Michizane, che, pur non morendo in battaglia, diventa in seguito un dio venerato.

Nel XII secolo, Minamoto no Yoshitsune emerge come un eroe tragico, sfuggendo alla cattura e compiendo atti di sacrificio. Segue Kusunoki Masashige nel XIV secolo, un simbolo dell'onore samurai che si suicida onorevolmente. La storia di Oshio Heihachiro, attivista della lotta popolare nel XIX secolo, e Saigo Takamori, che sfida il regime dei colonnelli, evidenzia il conflitto tra il potere e la ricerca della vera libertà.

Infine, l'analisi di Morris tocca temi come il suicidio dei kamikaze, che veicolavano un messaggio profondo sui valori giapponesi, dove la sconfitta si trasforma in una vittoria eterna. Il dramma di Amakusa Shiro, descritto come messia, ricorda che la lotta per la giustizia può portare a una morte che, lungi dall'essere una sconfitta, è un gesto di ribellione e speranza per le generazioni future. La nobiltà della sconfitta, quindi, non è solo un titolo, ma una celebrazione di coloro che, contro le avversità, hanno incarnato ideali di bellezza, onore e sacrificio.