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Il coraggio del kibbutz Nir Oz: la lotta contro l'odio e la ricerca della pace

2024-10-05

Quando il silenzio ha seguito il massacro del Festival Nova, l’7 ottobre 2023, il kibbutz di Nir Oz e le sue famiglie si sono ritrovati a fare i conti con un dolore incolmabile. Quest’oggi, all’alba, le famiglie delle 364 vittime e dei quaranta rapiti si riuniranno nuovamente presso l’area adiacente al kibbutz Re’im. Accoglieranno il ricordo suonando la stessa melodia di un anno fa. A esattamente sei minuti e venticinque secondi dopo le sei del mattino, il dramma si ripeterà nel ricordo dell’attacco fatale avvenuto alle 6.29, in cui Hamas ha messo in atto la sua devastante irruzione.

Quella nottata tragica non ha solo danneggiato fisicamente la comunità, ma ha anche scosso profondamente le relazioni umane. I familiari delle vittime, in segno di protesta, hanno scelto di non partecipare alla commemorazione ufficiale organizzata dal governo Netanyahu a Ofakim, accusando l’esecutivo di utilizzare la memoria dei morti a fini politici. Hanno alzato la loro voce in una lettera aperta, esprimendo chiaramente: “Non manipolate la loro memoria per fini politici.”

Le rovine di Nir Oz portano segni indelebili di quel giorno terribile. Una stanza vuota, un lampadario caduto, un giardino distrutto, tutto sembra raccontare una storia di violenza e perdita. Ma nella desolazione emerge anche la resilienza. Una nuora, Rita, racconta di come ogni venerdì o sabato si sieda nel patio, preparando un brindisi per il suocero — ora tragicamente scomparso. “È il modo per dirgli che mi manca e che lo aspetto,” afferma con voce tremante.

Un simbolo di speranza e di determinazione è il famoso scrittore e giornalista 84enne, un forte sostenitore della pace, rapito e tenuto prigioniero a Gaza da 365 giorni. La moglie, Yocheved, è stata liberata due settimane dopo il massacro, ma il suo lungo viaggio ha attraversato momenti strazianti. “Shalom, Salam,” ha detto al miliziano che la scortava, esprimendo la sua fede in un futuro di pace, nonostante l’orrore vissuto.

Il kibbutz di Nir Oz, il più vicino al confine con Gaza, ha pagato un prezzo altissimo: oltre il 25% dei residenti è stato ucciso o rapito. In tutto, 117 su 400 persone, una tragedia che segnerà per sempre questa comunità. Ma ciò che sorprende è l’unità e la determinazione dei sopravvissuti. Le famiglie, malgrado la devastazione, sono tornate per onorare i morti e lavorare insieme per ricostruire le loro case e la loro comunità.

“Dobbiamo ricostruire, non solo materiali ma anche relazioni,” sostiene Rina, un attivista per la pace. “La guerra genera solo più guerra, combattere non è la soluzione. Noi chiediamo pace.”

L’appello di Rita e degli altri non è per nulla inascoltato. L’urgenza di riportare a casa gli ostaggi ancora in mano a Hamas è sentita da molti, e le domande che emergono sono strazianti: “Perché la comunità internazionale ha lasciato che la situazione degenerasse a questo punto?”

In mezzo al dolore, Nir Oz rimane un simbolo di resistenza e speranza. I vittimari della violenza sono tanti, e la lotta per la giustizia continua, ma la vera sfida sarà trasformare l’odio in compassione e la vendetta in dialogo. “Non possiamo permettere che la nostra sofferenza ci renda disumani,” conclude Rita con determinazione. “La vera forza sta nel mantenere viva la speranza e lavorare per la pace in futuro.” La comunità di Nir Oz sta dimostrando che, anche nei momenti più bui, la luce della solidarietà e della compassione può ancora brillare.